Presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 47ª Giornata Mondiale della Pace
Scuola di Pace (Roma, Casa Frate Jacopa, 3-5 gennaio 2014)
S.E. Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace

A. VALENZA PASTORALE E CULTURALE DEL MESSAGGIO

 

tosojpeg1. Fraternità, criterio ermeneutico e principio architettonico
Con il suo primo Messaggio per la giornata mondiale della pace, papa Francesco interviene sul tema con un apporto decisivo e aggiornato. I suoi predecessori avevano via via equiparata la pace allo sviluppo integrale (cf Paolo VI, Populorum progressio, n. 87); essa è stata poi considerata frutto della solidarietà (cf Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 39), e di un amore pieno di verità (cf Benedetto XVI, Caritas in veritate).
Papa Francesco ripercorre la strada in parte già indicata nel Messaggio del 1971 di Paolo VI, dove si afferma che la fraternità è la pace e che quest’ultima risulta essere la grande celebrazione della prima.1
L’attuale pontefice indica la fraternità come il fondamento antropologico ed etico della pace ed insieme sua via di realizzazione, nel senso che, oltre ad essere un criterio ermeneutico dell’esistenza umana e della storia, la fraternità è criterio progettuale e prassico per la costruzione di una società più giusta, più inclusiva, più pacifica. La fraternità − prosegue papa Francesco −, connota e struttura la relazionalità delle persone, nonché la loro tensione morale al compimento umano. Data l’intrinsecità della fraternità rispetto all’essere e all’agire dell’uomo, è impensabile poter costruire una società giusta e pacifica senza incarnarla e viverla nelle istituzioni, negli stili di vita, nei comportamenti. Senza la fraternità diviene più arduo accettare ed armonizzare le legittime differenze, vivere il perdono e la riconciliazione. E certamente è più difficile sconfiggere la corruzione ramificata, l’evasione fiscale egoista, l’esclusione e l’inequità, cristallizzate nella società e nelle strutture, come lo è porre rimedio alla «democrazia a bassa intensità».2
È anche meno agevole riuscire a superare la «globalizzazione dell’indifferenza» ed abbattere il «feticismo del denaro», «la dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano», tutti mali coraggiosamente stigmatizzati nella recente esortazione apostolica Evangelii gaudium.3
In altri termini, la fraternità non è solo un dato di fatto o, meglio, una dimensione costitutiva dell’essere ontologico e psicologico delle persone − homo homini frater, si potrebbe dire –, ma è anche un canone o un principio morale per i comportamenti. È forza immaginatrice e creatrice per innovare le istituzioni, per le stesse legislazioni e per le politiche nazionali ed internazionali.
Proprio perché principio architettonico del sociale, la fraternità dev’essere proiettata e declinata nelle varie aree dell’operosità umana. Mentre viene pensata ed incarnata nei vari contesti di vita, rigenerando le persona «usate» o «scartate», suscita dinamiche, relazioni, processi che sono altrettanti cammini di pace. La fraternità rappresenta una sfida continua per il diritto, per la politica, per l’economia, per la finanza, per l’ambiente, per lo sviluppo integrale ed inclusivo, per la stessa pace. Il principio plurivalente della fraternità universale trasfigura tali aree di pensiero e di azione che, pur colpite a morte da un nihilismo e da un materialismo consumistico devastanti, possono così risorgere, configurate in termini più umani e civili.
Nel suo MGMP, papa Francesco presenta solo alcuni dei possibili cammini di pace, che derivano dall’assunzione e dalla coniugazione del principio della fraternità. Essi si inoltrano negli ambiti cruciali della povertà, dell’economia, della corruzione, della guerra, oltre che della natura.
Il papa presenta la portata risanatrice della fraternità, mostra la strada, indica il metodo da seguire, che dev’essere applicato con riferimento ad altri problemi, mediante approfondimenti e ricerche, condotti a livello di studio e di sperimentazione. Egli sollecita un grande impegno culturale, pedagogico e prospettico, che si esprime anche a livello «artigianale», e che domanda una mobilitazione comunitaria e complessa, a partire dall’evangelizzazione, dalla conversione, dall’educazione a tutti i livelli, dall’elementare all’universitario, dalla progettualità sociale. Detto altrimenti, papa Francesco confida nella nostra buona volontà e ci affida i compiti per casa.

2. L’«universale concreto» della fraternità, ovvero Gesù Cristo, il Figlio unigenito del Padre
Rispetto all’impegno culturale e civile richiesto, papa Francesco non rinuncia a segnalare la peculiarità dell’apporto dato dalla fede e dal cristianesimo. È perfettamente cosciente degli ostacoli che, sul piano della ragione, delle remore psicologiche, delle fragilità morali e dei pregiudizi ideologici − talora ingigantiti dai mezzi di comunicazione odierni −, impediscono l’affermarsi dell’amore fraterno nelle relazioni interpersonali e nelle comunità. Proprio per questo, egli si domanda: «Gli uomini e le donne di questo mondo potranno mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità, impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano fratelli e sorelle?» (n. 3).
A tali quesiti risponde indirettamente, invitando anzitutto a superare quello scetticismo antropologico ed etico a cui condanna una ragione di tipo illuminista che, come aveva già sottolineato nella Lumen fidei, per la sua chiusura alla trascendenza, impedisce di vivere intensamente l’esperienza della paternità di Dio e, quindi, la nitida e gioiosa percezione della fraternità (cf n. 54). La fraternità, privata del riferimento alla Trascendenza, purtroppo, non riesce a sussistere. Quando Dio, come nel caso della cultura illuminista, in forza di una ragione sostanzialmente autarchica e non teonoma, è considerato una presenza rarefatta e lontana dalle persone e dai loro problemi concreti, è inevitabile che ogni proclama fatto sulla fraternità sia destinato ad essere vanificato. Il trinomio nato con la rivoluzione francese – liberté, fraternité, égalité – ha gradualmente perso la sua forza evocativa e civilizzatrice proprio a causa dell’inadeguatezza del suo fondamento teologico, antropologico ed etico. La ragione illuminista, che lo ha enucleato, è stata anche il tarlo che lo ha eroso dal di dentro, svuotandolo, facendone un guscio vuoto di senso. Le persone e le società che emarginano Dio e non lo riconoscono vivente in mezzo a loro, difficilmente riescono a percepirsi e a vivere come figli e figlie di uno stesso Padre. Peraltro, le stesse etiche contemporanee, proprie del neocontrattualismo, del neoutilitarismo e delle varie teorie dialogiche, riconosce papa Francesco, appaiono incapaci di produrre saldi vincoli di fraternità tra le persone (cf n. 1). Non basta proporla come un imperativo categorico astratto: non è sufficiente dire che si deve essere fratelli, senza spiegare il perché si è chiamati ad esserlo e ad operare di conseguenza. Il cuore non si riscalda e non vive nell’empatia, non prova tenerezza per l’altro. Occorre spiegare perché lo siamo e, quindi, perché dobbiamo comportarci da fratelli e sorelle, che appartengono ad una stessa famiglia e si accolgono donandosi reciprocamente, prendendosi carico l’uno dell’altro. Così, non è ultimamente decisivo e dirimente proporla come un bene-valore fondato sul mero consenso sociale. Un simile fondamento, prettamente sociologico, è incapace di legare, con vera e stabile cogenza morale, la volontà delle persone.
In vista di un’esperienza autentica della nostra apertura profonda alla Trascendenza è fondamentale il recupero di una ragione integrale, capace di attingere la stessa dimensione metafisica dell’esistere, nonché di cogliere la tensione morale ad una pienezza umana connotata dalla fraternità. Un conto è percepirsi ed essere fratelli e sorelle, perché figli e figlie di uno stesso Padre, che è all’origine di tutti ed anche il fine comune. Un altro conto è vivere tra persone che si riconoscono sì somiglianti in umanità, ma che non condividono un’unica paternità e una medesima famiglia dotata di uno stesso destino trascendente. Una cosa è la fraternità fondata su una figliolanza divina che supera il legame umano rinsaldandolo. Altra cosa è la fraternità poggiante solo su un vincolo di genere meramente temporale e terreno. In una prospettiva cristiana le ragioni del rispetto e dell’amore vicendevole sono più forti ed alte. Sono ragioni che, se sono prese sul serio, sbugiardano ogni tentativo di ridicolizzare il messaggio cristiano sulla fraternità, considerandola una mera illusione, un sentimento naïf, proprio delle persone deboli, senza muscoli.
In secondo luogo, papa Francesco indica chiaramente che, per ogni uomo e ogni società, l’accesso all’esperienza della paternità di Dio e, per conseguenza, della fraternità, è facilitato dall’accoglienza di Gesù Cristo, il nuovo Adamo riconciliato con Dio, che redime ogni uomo nella sua integrità, ivi compresa la ragione, le cui facoltà ne vengono ampliate. Proprio qui si può cogliere il nesso imprescindibile tra il principio della fraternità e l’impegno di una nuova evangelizzazione della quale ci ha parlato papa Francesco nella recente esortazione Evangelii gaudium, e volta a favorire o a rinnovare l’incontro personale con Gesù Cristo. Mediante la sua incarnazione, morte e risurrezione, il Signore Gesù semina nella storia e nei cuori un’umanità più fraterna, perché in piena comunione con Dio e, pertanto, più capace di riconoscere e vivere la fraternità con i propri simili e anche, su un piano diverso, con il creato. Il Cristo è lo «spazio» personale della riconciliazione dell’uomo con Dio e dei fratelli tra di loro. In Lui, l’altro viene accolto e amato come figlio e figlia di Dio, come fratello e sorella, non come un estraneo, tantomeno come un antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, ove tutti sono figli di uno stesso Padre e figli nel Figlio, perché innestati in Cristo, non vi sono persone inutili, «vite di scarto». Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità (cf n. 3).
Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Colui che è morto in croce per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.
Cristo costituisce, dunque, il principio del compimento pieno della fraternità. Egli, ne è l’universale concreto, non un’astrazione o un anelito velleitario. Dimorando in Cristo, vivendo Lui, è possibile, da parte di tutti, l’esperienza sia di una Paternità trascendente, sia della fraternità in tutto il suo spessore metafisico e nel suo amore riboccante di sovrannaturale carità.4    Cristo, «globalizzato» nel mondo, rappresenta la causa prima della fraternità universale, che non pone steccati a chi appartiene a un altro popolo, a un’altra razza, a un’altra fede. La fraternità, che Cristo innerva e stabilizza nell’umanità mediante il suo Spirito, accresce la responsabilità di ogni uomo e donna verso ogni altro. Mette tutti in marcia. Sospinge all’incontro, specie di coloro che, pur facendo parte della nostra stessa famiglia umana, non dispongono dei beni sufficienti per una vita dignitosa come uomini e come figli di Dio.
Qui risiede la novità dell’apporto del cristianesimo in seno all’odierna cultura secolaristica ed immanentistica, incline ad un umanesimo antropocentrico, che ha smarrito la percezione della paternità di Dio e con ciò stesso genera orfani che vivono in un’estraneità reciproca.

B. VALENZA SOCIALE E POLITICA

3. Fraternità, principio architettonico del sociale, via per la pace
In questa parte del commento sul MGMP 2014 si ritorna sul tema della fraternità quale principio architettonico del sociale. La fraternità, vissuta in pienezza nelle molteplici relazioni interpersonali, nelle diverse istituzioni e nei vari settori della vita umana, appare in grado di rifondare i nostri legami sociali e di rilanciare un progetto utopico comune, al di là di individualismi asociali ed amorali che infettano spesso il comportamento di singoli o di gruppi chiusi in se stessi.
Sono molte le situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia che, secondo papa Francesco, segnalano non solo l’assenza di una cultura della solidarietà, ma anche una profonda carenza di fraternità, generando una profonda povertà relazionale (cf n. 5). «Una simile povertà – afferma il pontefice – può essere superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di rapporti fraterni in seno alle famiglie e alla comunità, attraverso la condivisione delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei successi che accompagnano la vita delle persone » (n. 5).mespacejpeg
Per rendersi conto della vastità e della complessità del compito che attende tutti è senz’altro opportuno fermarsi a considerare alcuni ambiti in cui la fraternità è chiamata a concretizzarsi come principio architettonico che fa rinascere il sociale, dopo i forti assalti di una cultura neoindividualistica e neoutilitaristica che lo hanno gravemente destrutturato.
Nel nostro mondo globalizzato, all’aumento della ricchezza mondiale in termini assoluti, corrisponde la crescita di disparità e di povertà relative.5
Queste intaccano la sostanza della democrazia rappresentativa e partecipativa, nonché la figura dello Stato sociale che nel mondo occidentale si è affermato a partire dall’inizio del secolo scorso. Tutto ciò fa emergere figure di democrazia contrassegnate da populismi ed oligarchie politiche, che bypassano i corpi intermedi ed ignorano le esigenze della società civile, creando divorzi pericolosi tra classi dirigenti e popolazioni. In definitiva, a causa di una globalizzazione non ben governata ed orientata al bene comune mondiale, la famiglia umana si suddivide in popoli e gruppi, alcuni – pochi – sempre più ricchi e altri – più numerosi – sempre più a rischio di emarginazione rispetto ad un’esistenza dignitosa e ad una «democrazia ad alta intensità».
Si verificano migrazioni di proporzioni bibliche, accompagnate da tristi fenomeni di traffico di esseri umani, sulla cui disperazione speculano persone senza scrupoli, causandone spesso la morte. Alle guerre con le armi se ne aggiungono altre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di persone, di famiglie, di imprese (cf n. 1). Ai vecchi colonialismi ne sono subentrati di nuovi, che si affermano con duri asservimenti economici e politici, con delocalizzazioni deleterie sia per i Paesi ospitanti che per quelli di provenienza, con lo sfruttamento di terre e di giacimenti minerari da parte di Stati o imprese straniere che non coinvolgono le popolazioni locali nelle attività produttive, spogliano le loro terre, inquinano l’ambiente, e non contribuiscono all’instaurazione di sistemi di sicurezza sociale. Allarmano, poi, le molte forme di corruzione, capillarmente diffuse, nonché l’aumento di organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità le legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità delle persone. Si tratta di organizzazioni che offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato (cf n. 8). I loro campi di azione sono: la droga, la devastazione delle risorse naturali, lo sfruttamento del lavoro, la speculazione finanziaria, la prostituzione, il traffico di esseri umani. Da ultimo, non è da ignorare il grave problema che tocca la sicurezza alimentare di milioni di persone, dovuto non solo all’inquinamento ma anche ad una errata gerarchia delle priorità a cui si destinano i frutti della terra(cf n. 9).
Ebbene, a fronte dei molti problemi accennati non si deve rimanere immobili ed indifferenti. Per poter vivere in armonia e in pace, la nostra umanità necessita di un supplemento di fraternità non solo proclamata ma sperimentata, rispetto alla quale la famiglia, cellula della società, è una sorgente inesauribile (cf n. 1).
La fraternità va coniugata in molti ambiti, a cominciare dalla famiglia domestica per giungere alla famiglia dei popoli, avvolta da una fitta rete di comunicazioni e di interconnessioni che, come ha affermato Benedetto XVI, rendono più vicini ma non più fratelli.6     Papa Francesco, come già accennato, inizia a farlo, sia pure in maniera appena abbozzata, con riferimento ad alcuni problemi fondamentali che colpiscono singoli e popoli. Non ripercorreremo lo svolgimento dei ragionamenti del pontefice per filo e per segno. I cammini di pace proposti da papa Francesco appaiono esemplificazioni che debbono essere replicate con riferimento ad altre questioni sociali. Qui ci fermeremo a considerarne alcune, rispetto alle quali la fraternità, qualora sia vissuta con sincerità e determinazione, potrà produrre maggior giustizia e pace. In particolare, la fraternità potrà aiutare a:
a) vivere la globalizzazione come luogo di una comunione universale caratterizzata da un’unità poliedrica;
b) realizzare in maniera più rigorosa ed equa il principio della destinazione universale dei beni;
c) difendere e a promuovere lo Stato di diritto;
d) riappropriarsi e a rifondare la democrazia; e) recuperare il compito più proprio dell’economia e della finanza.

4. Fraternità e globalizzazione
La fraternità, nella sua dimensione umana e sovrannaturale, deve porsi quale principio architettonico del sociale anzitutto aiutando a ricostruire quei legami che una globalizzazione, sposata con il relativismo assoluto ed uniformante il pensiero, recide, favorendo lo sradicamento, la perdita di certezze, l’eliminazione delle diversità costitutive di qualsiasi società umana; alimentando quella mentalità dello «scarto» che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati «inutili» (cf n. 1). È la fraternità che può salvare da un progetto globalizzante, che appiattisce dentro un pensiero unico ed elimina le differenze, nonché da un relativismo che atomizza e depersonalizza. Essa, al contrario, consente di coltivare un’unità poliedrica, un universalismo integrante le differenze. La fraternità, infatti, come accoglienza dell’altro, che vive la medesima figliolanza divina e appartiene alla stessa umanità, permette di apprezzare le differenze socio-culturali quali molteplici sfaccettature espressive di un’unica e profonda identità.

5. Fraternità e destinazione universale dei beni
La fraternità, intesa come un prendersi cura l’uno dell’altro perché figli e figlie di uno stesso Padre e perché accomunati da una stessa umanità, sollecita a realizzare la destinazione universale dei beni che con la creazione sono stati messi a disposizione di tutto il genere umano. Essi debbono pervenire a tutti con equità, avendo per guida la giustizia e per compagnia la carità (cf Gaudium et spes, n. 69).
La Centesimus annus di Giovanni Paolo II ci ha insegnato che lo sviluppo integrale dei popoli va concretizzato, in particolare, mediante la destinazione universale di beni oggi particolarmente decisivi per la ricchezza delle Nazioni come la conoscenza, la tecnica e il sapere, ma soprattutto mediante il «bene» singolarissimo che è la persona, quale essere intelligente, laborioso, fraterno e solidale, intraprendente, prudente, affidabile e fedele, forte, ossia in quanto essere virtuoso. Non basta universalizzare le opportunità o le capacità di scelta (capabilities) di cui parla Amartya Sen nei suoi scritti. evanjpegOccorre anche universalizzare la capacità di orientare le scelte secondo il criterio del bene umano integrale, aperto alla trascendenza. Altri beni che debbono essere accessibili sono: un libero mercato, adeguatamente regolamentato dalle forze sociali e dallo Stato; un’economia dell’imprenditorialità e della responsabilità; una società del lavoro libero, dell’impresa, intesa soprattutto come «comunità di persone» e della partecipazione; un’economia sociale; un’autentica democrazia fondata sullo Stato di diritto e sulla legge morale naturale; un ambiente sano ed un ambiente umano, ossia i beni collettivi, tra i quali va annoverata la stessa pace.
A proposito dell’uso di beni necessari ad un’esistenza dignitosa papa Francesco invita a riflettere sulle modalità e priorità di uso e di destinazione delle risorse della terra (cf n. 9) ed inoltre, per vincere la grave impennata della povertà relativa, propone l’adozione di politiche efficaci che consentano di accedere ai «capitali», ai servizi, alle risorse educative, sanitarie, tecnologiche, affinché a ciascuno sia data l’opportunità di esprimere e di realizzare il proprio progetto di vita, e di svilupparsi in pienezza come persona. Il pontefice ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito (cf n. 5)
In una recentissima pubblicazione del Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace “Energia, giustizia e pace. Un riflessione sull’energia nel contesto attuale dello sviluppo e della tutela dell’ambiente” è stato sottolineato che se nei Paesi poveri la carenza di risorse energetiche può costituire per molte persone il discrimine tra la vita e la morte, nei Paesi sviluppati essa può rappresentare, per le famiglie a basso reddito, la differenza tra disagio e tenore di vita accettabile. Detto altrimenti, la povertà energetica rappresenta un aspetto cruciale della vita quotidiana di tutti i popoli, inclusi quelli più ricchi. La crescita dei costi dell’energia per le utenze domestiche e l’attuale grave crisi economica internazionale stanno incrementando rapidamente i rischi. Ebbene, se un giudizio va espresso al riguardo è che ogni forte ed ingiusta disparità nella distribuzione dell’energia non può davvero corrispondere ai disegni sapientissimi del Creatore.7      Perché l’energia, nelle sue molteplici forme, sia e diventi sempre più mezzo efficace per uno sviluppo reale, per la giustizia e per la pace urge l’acquisizione di un nuovo paradigma sul modo di produrre, consumare e distribuire che liberi da soluzioni non consensuali, pragmatiche ed opportunistiche, di breve termine. Occorre svincolarsi dall’affannosa ricerca del profitto per il profitto, da indebite pressioni ideologiche, politiche, economiche o militari. Vanno ugualmente abbandonate prassi utilitaristiche, quali la fornitura di energia quel tanto che basta per evitare conflitti e rivolte, o per permettere uno sviluppo meramente economico delle zone povere nella sola ottica di ottenere più consumatori e clienti; o il rispetto dell’ambiente, quel tanto che basta per non incorrere in multe, per apparire «verdi», per non mettere in pericolo profitti futuri. Un nuovo paradigma deve offrire a tutti nuovi schemi comportamentali basati sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla concezione di uno sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo. Esso potrà anche generare l’impulso sufficiente per instaurare e far funzionare correttamente sane forme di cooperazione internazionale, di governo della finanza e dell’economia, per incoraggiare e condividere la ricerca, per portare avanti uno sviluppo per tutti, per superare gli squilibri fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, alla luce del bene comune.8

6. Fraternità, Stato di diritto, discriminazioni
La fraternità, quale amore pieno di verità per l’altro, per i suoi diritti e doveri, fondati non solo sul consenso ma primariamente sulla legge morale naturale, può oggi aiutare a contrastare tutti quei tentativi che, apertamente o subdolamente, contribuiscono a smantellare lo Stato di diritto. Questo si è gradualmente consolidato mediante processi lenti e faticosi, ma ora, purtroppo, lo vediamo aggredito da più parti, specie da una cultura di tipo laicista ed individualistico.
Lo Stato di diritto è attualmente messo in crisi da violazioni plateali da parte di quegli stessi Paesi, che pur lo hanno codificato nelle loro Costituzioni. Vi sono Paesi che, mentre vedono sensibilmente diminuita la loro capacità di fissare le priorità dell’economia e di incidere sui dinamismi finanziari internazionali,9   e su altre questioni vitali e globali – tra cui l’accesso all’acqua potabile per tutti, l’equa distribuzione delle risorse energetiche, la sicurezza alimentare, il controllo del fenomeno di migrazioni bibliche –, legiferano puntigliosamente su temi etici e bioetici senza tener conto della legge morale naturale, e fondano spesso le decisioni su antropologie  indifferenziate. Vi sono comunità che pur riconoscendo il diritto primario alla vita, hanno praticamente liberalizzato l’aborto e alcuni gruppi ne vorrebbero sancire il «diritto». Non solo. Vi sono ordinamenti giuridici e amministrazioni della giustizia che consentono di discriminare gli obiettori di coscienza nei confronti dell’aborto, dell’eutanasia e della guerra. Parimenti, mentre nelle Costituzioni è omologato il diritto alla libertà religiosa, crescono i pregiudizi e la violenza nei confronti dei cristiani e dei membri di altre religioni, ad esempio in tutta l’area dell’OSCE,10    ma non solo. In tale area si è praticamente disegnata una netta linea divisoria tra credenza religiosa e pratica religiosa, sicché spesso, nel pubblico dibattito e sempre più di frequente anche nei tribunali, ai cristiani viene ricordato che possono credere tutto ciò che vogliono e rendere culto come desiderano nelle loro chiese, ma che semplicemente è loro vietato di agire in pubblico in base alla loro fede. Si tratta di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione, che non riflettono la libertà prevista nei documenti internazionali, compresi quelli dell’OSCE. Sono molti gli ambiti in cui l’intolleranza emerge in modo evidente. Negli ultimi anni si è manifestato un aumento significativo di episodi in cui dei cristiani sono stati perseguitati e persino arrestati, per essersi espressi su questioni che interpellavano la loro coscienza. Alcuni leader religiosi sono stati minacciati dalla polizia, per aver predicato su comportamenti scandalosi, e alcuni sono stati addirittura incarcerati per aver predicato gli insegnamenti biblici relativi alla morale sessuale.11
Nel contesto ampio dello Stato di diritto, che in epoca moderna si annoda allo Stato sociale, il principio della fraternità risulta essere decisivo, a fronte di una cultura mercantilistica e tecnocratica, nella difesa e nella promozione dei diritti sociali.
Lo Stato di diritto si intreccia con lo Stato sociale democratico, in cui si completa e si perfeziona. Quando i diritti sociali sono conculcati, i diritti civili e politici vengono vanificati. Ebbene, la fraternità aiuta a contrastare le odierne posizioni dell’opinione pubblica o di classi dirigenti secondo le quali, in un contesto di crisi finanziaria e di recessione economica, il necessario risanamento dei conti pubblici e la crescita, possono essere conseguiti prevalentemente a prezzo della riduzione dei diritti sociali – si parla qui di diritti fondamentali come il diritto al lavoro, alla formazione professionale e alla sicurezza sociale –, dello smantellamento dello Stato sociale e delle reti di solidarietà della società civile, nonché della sospensione della democrazia.
Nel contesto del discorso di uno Stato di diritto papa Francesco non dimentica i diritti degli immigrati e, guardando al delitto e alla pena, segnala le condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, nonché soffocato in ogni volontà ed espressione di riscatto (cf n. 8).

7. Fraternità e democrazia «samaritana»
Secondo papa Francesco, il bene della fraternità è fondamentale per la pace sociale e la democrazia, perché crea un equilibrio tra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra beni dei singoli e bene comune. Consente di superare il «divorzio» che spesso si verifica tra classi dirigenti e cittadini rappresentati, a causa delle coltivazioni da parte delle prime di interessi sezionali o privati. Aiuta a sconfiggere la corruzione e l’illegalità, che si annidano ad ogni livello della vita sociale, come ad esempio i traffici illeciti di denaro e quella speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà intere popolazioni (cf ib.).
Secondo quanto emerge anche dal magistero del card. Bergoglio, ora papa Francesco, la fraternità oggi può svolgere, in particolare, un ruolo decisivo nel rifondare la democrazia rappresentativa, partecipativa, sempre più aperta al sociale. I problemi odierni della democrazia sono tali da indurre gli studiosi del settore a parlare di post-democrazia, ovvero di una fase in cui sono messi in crisi l’istituto della rappresentanza, della partecipazione attiva della gente nella determinazione dei processi decisionali, a causa soprattutto del deterioramento dei partiti e di classi dirigenti lontane, per tenere di vita e mentalità, dai bisogni dei più poveri. Ma ciò appare ancora un fenomeno epidermico. La crisi della democrazia contemporanea sembra intaccarla più profondamente, nella sua essenza etica, nel suo progetto relativo al bene comune, bene di tutti, che si realizza mediante l’apporto di tutti. E ciò a causa di concezioni neoliberali che assegnano il primato alla finanza anziché alla politica e che propongono, seguendo l’insegnamento di scuole economiche come quella di Chicago, l’ideale di una democrazia minima procedurale, la quale deve semplicemente assicurare il pacifico avvicendamento dei detentori del potere e non deve, invece, porsi obiettivi di giustizia sociale, che sono obiettivi impropri, che ne provocano il fallimento.
Il concetto di democrazia oggi prevalente appare, dunque, subordinato a mentalità neoutilitaristiche e neoindividualistiche che lo configurano come un progetto sociale e politico che non include tutti i cittadini. Il neoutilitarismo punta, infatti, a realizzare il bene per la maggioranza. Il neoindividualismo, che riduce il bene comune al bene dei singoli, finisce per promuovere il bene di pochi, dei più forti. I poveri, secondo un certo neoliberalismo, ci debbono essere sempre, perché senza di essi l’economia di mercato non può funzionare al meglio (cf Caritas in veritate n. 35).
La fraternità, che evidenzia l’eguaglianza di dignità tra le persone e che spinge a farsi «prossimo» nei confronti di chi è nel bisogno, comanda di scegliere tra una democrazia «a bassa intensità», che produce esclusi e prevede anche alti livelli di povertà, e una democrazia «ad alta intensità»,la povertà; tra una democrazia che si mostra indifferente nei confronti dei cittadini che sono «caduti » e «feriti» a causa di crisi che colpiscono i più deboli e una democrazia costantemente «samaritana » – si rammenti la parabola evangelica del buon samaritano –, ossia una democrazia che non passa oltre ma si fa carico delle fragilità dei cittadini più sfortunati, spogliati da eventi superiori alle loro forze, che li conducono alla disoccupazione e all’emarginazione sociale.12     Nell’attuale contesto di crisi dello Stato sociale e della democrazia sostanziale, la fraternità sfida la stessa comunità europea a ripensarsi e a scegliersi come insieme di popoli che costruiscono una vera comunità politica, concepita in termini di solidarietà e di sussidiarietà, essenziale per raggiungere finalità di giustizia sociale e di pace. Non è sufficiente evitare l’ingiustizia e sanare i bilanci. Occorre promuovere la giustizia sociale, la giustizia del bene comune. Non basta la libertà di fare. Per questa strada si può essere anche «tutti contro tutti». Urge una libertà responsabile che si faccia carico del bene comune, specie dei più bisognosi. Il bene comune va realizzato tramite l’apporto di tutti, anche dei più poveri, che non sono da considerare un «fardello». Una società matura è quella in cui la libertà è pienamente responsabile ed è basata sull’amore fraterno e sul mutuo potenziamento. La rifondazione della democrazia non è compito di qualcuno, ma di tutti. Non si tratta di articolare solo un nuovo programma economico e sociale ma soprattutto un progetto politico e un tipo di società in cui c’è posto per tutti, in cui tutti sono chiamati a collaborare per realizzare il bene comune! Non si tratta solo di cambiare dirigenti o volti, occorre che i rappresentanti siano preparati e dediti al bene comune, in sinergia con i cittadini rappresentati.

8. Fraternità, economia e finanza
La grave crisi finanziaria ed economica contemporanea, che attanaglia il mondo da sei lunghi anni, ha trovato la sua origine proprio dal progressivo allontanamento dell’uomo dal «prossimo», dalla sua chiusura in se stesso, nella ricerca avida da parte di molti investitori di una massimizzazione del profitto, nel più breve tempo possibile, e nella corsa agli acquisti oltremisura, a rischio di indebitamento, da parte dei consumatori. Il depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie ha spinto l’uomo moderno a ricercare la soddisfazione e la pace esistenziale nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di sana economia.
Le conseguenze della crisi, in cui si è ancora immersi nonostante i rari e timidi segnali di uscita dalla recessione, sono dure in termini di lavoro, povertà e scambi commerciali internazionali. La disoccupazione è cresciuta considerevolmente, soprattutto nei paesi sviluppati, e ha colpito pesantemente i giovani, le donne, i disabili e coloro che più difficilmente riescono a restare sul mercato del lavoro a causa dell’«invecchiamento» delle proprie competenze.
L’impoverimento delle famiglie, conseguenza della crescita della disoccupazione, della diffusione delle forme di cassa integrazione e, più in generale, della sfiducia nel futuro prossimo, hanno determinato una contrazione della spesa e la chiusura di molteplici attività commerciali. Cresce nei paesi sviluppati la povertà e l’esclusione sociale, aumenta anche il numero di minori che viene impiegato in attività lavorative e il rischio di sfruttamento per i lavoratori più vulnerabili. Inoltre, alle prese con i problemi della disoccupazione e crescente povertà, i paesi sviluppati sono più disattenti per quanto concerne l’estrema indigenza nelle condizioni di vita dei poveri nei paesi economicamente più fragili come attesta la contrazione negli aiuti pubblici allo sviluppo. Anche il commercio internazionale ha subito una decelerazione in conseguenza della debole crescita economica in Europa e negli altri paesi sviluppati, influendo così negativamente sulla situazione economica delle economie in transizione e in via di sviluppo, la cui crescita dipende dalle esportazioni.
In questo contesto, la fraternità, assunta e vissuta come dimensione dell’essere e della relazionalità umani, può senza dubbio contribuire a strutturare l’economia e la finanza come attività «amiche dell’uomo », di ogni uomo e di ogni popolo; può farle ritornare – dopo periodi di idolatria del profitto a breve termine –, ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo, come auspicava papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate al n. 65, ossia a porsi decisamente al servizio delle persone, dell’economia reale, del lavoro, delle imprese, delle comunità locali.
Può incoraggiare a rafforzare quanto la grande recessione, che caratterizza questo periodo storico, lascia, tuttavia, intravedere, ossia: un ripensamento del modello di sviluppo economico, una inversione di tendenza nel comportamento degli imprenditori e dei consumatori, un cambiamento negli stili di vita e una riscoperta di forme diverse di fare economia e finanza. Accanto alle cifre sconfortanti della disoccupazione, ci sono, infatti, tanti casi di giovani che mettono in gioco tutta la loro creatività e i loro talenti alla ricerca di un lavoro che non dia loro solo da vivere, ma anche un senso e una direzione nella vita. Molti di loro tornano a professioni trascurate, ritornano a coltivare la terra e a lavori artigianali che rendono più percepibile quanto il lavoro sia un actus personae, quanto esso sia per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
In altri termini, la fraternità spinge ad uscire da se stessi per andare incontro all’altro, a ricercare occasioni di socialità e di comunione, di relazione e di legame. È essa, in definitiva, che ispira gli imprenditori delle aziende sociali e cooperative, imprese che non si prefiggono come fine ultimo il perseguimento del profitto, bensì la creazione di valore sociale, umano e ambientale per un dato territorio. Essa, inoltre, sospinge a creare e a dare lavoro, a pagare equamente i lavoratori, a instaurare rapporti amichevoli all’interno della azienda, ponendo sullo stesso piano tutti i portatori di interesse senza privilegiare gli uni agli altri perché tutti esseri uguali in dignità, aventi gli stessi diritti.
La fraternità, va declinata nei mercati e deve coinvolgere anche i consumatori, i quali possono contribuire ad una trasformazione del sistema economico privilegiando le aziende virtuose in termini di rispetto dei diritti dei lavoratori, di standard ambientale e di reinvestimento di parte degli utili per lo sviluppo del territorio all’interno del quale si trovano ad operare. A tal fine, tuttavia, occorre migliorare la qualità dell’informazione garantendo ai consumatori una vera opportunità di scelta, ma nel contempo deve crescere tra costoro il senso di responsabilità sociale e la consapevolezza di poter incidere per un cambiamento nel sistema economico.
La summenzionata fraternità non può che incoraggiare una libera iniziativa economica che deve poter trovare un suo espletamento all’interno di un quadro di regole, che al livello nazionale spetta allo Stato fornire. In un quadro di economia globalizzata tali regole devono, invece, essere assicurate anche e forse, soprattutto, dalle istituzioni economiche e finanziarie internazionali. Non è, infatti, sufficiente che vi siano operatori economici virtuosi perché il sistema economico possa essere virtuoso: servono anche istituzioni virtuose e politiche economiche e finanziarie virtuose. Sono necessarie istituzioni internazionali, rappresentative e, dunque, legittimate a compiere i passi decisivi per una riforma del sistema finanziario che punti alla separazione delle banche commerciali da quelle d’affari, a scoraggiare l’uso speculativo della finanza tassando la velocità delle transazioni e ad uno sgravio fiscale delle attività virtuose che creano valore sociale, umano e ambientale.13
La fraternità potrà sostenere, secondo papa Francesco, nello smascheramento di false ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, che negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune; potrà sospingere a sfatare le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggior equità e inclusione sociale nel mondo.14

1Cf PAOLO VI, Ogni uomo è mio fratello (01.011971), in Messaggi di pace di Paolo VI e Giovanni Paolo II per la Giornate Mondiali della Pace, Edizioni Paoline, Milano 1986, pp. 38-46.
2 Sulla democrazia a bassa intensità o ad alta intensità si veda JORGE MARIO Card. BERGOGLIO, Noi come cittadini, noi come popolo, Libreria Editrice Vaticana-Jaca Book, Roma-Milano 2013, pp. 31-32.
3 Cf PAPA FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24.11.2013), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, nn. 52-60.
4 Cf PAOLO VI, Ogni uomo è mio fratello, n. 4.
5 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate (29.06.2009), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 22 (= CIV).
6 Cf BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 19.
7 Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Energia, giustizia e pace. Un riflessione sull’energia nel contesto attuale dello sviluppo e della tutela dell’ambiente, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, pp. 42-43.
8 Cf ib., pp. 87-88.
9 Cf Caritas in veritate n. 24.
10 Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
11 Cf Intervento di S. Ecc. Mons. Mario Toso a Tirana (21 maggio 2013): difendere i diritti dei cristiani e dei membri di altre religioni nella zona dell’OSC contro la discriminazione, in «Osservatore romano» (mercoledì 29 maggio 2013), p. 2
12 L’idea di una democrazia «samaritana» la suggerisce, ci sembra, lo stesso papa Bergoglio il quale quand’era cardinale ebbe a scrivere: «La parabola del buon samaritano ci mostra con quali iniziative si può ricostruire una comunità, partendo da uomini e donne che sentono ed operano come veri soci (nel senso antico di concittadini). Uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non permettono che sorga una società dell’esclusione, ma che si avvicinano – si fanno vicini – e sollevano e curano chi è caduto, affinché il Bene sia Comune. L’inclusione o l’esclusione del ferito ai bordi della strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Tutti ci troviamo di fronte ogni giorno alla scelta tra l’essere samaritani o indifferenti viaggiatori che si tengono alla larga» (JORGE MARIO BERGOGLIO, Nel cuore dell’uomo. Utopia ed impegno, Bompiani, Milano 2013, p.63).
13 Su questi aspetti si può leggere con frutto: PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, 3.a ristampa.
14 Cf Evangelii gaudium, n. 54.