Veglia per la 36ª Giornata della vita alla Parrocchia S. Maria Goretti in Bologna
Testimonianza di Nicola Gabella

VIVERE DA PERSONE RISORTE
Mi chiamo Nicola, ho 47 anni e sono sposo di Giulia e padre di Samuele, Sara e Anna.
Giulia ed io ci siamo conosciuti nel 1989 a Lourdes, mentre partecipavamo ad un pellegrinaggio con l’Unitalsi dell’Emilia Romagna. Ci siamo piaciuti e al ritorno da quel viaggio, abbiamo deciso di iniziare un cammino di fidanzamento insieme. L’università, il lavoro, esperienze di vita e di chiesa insieme. Poi, subito dopo la laurea, il matrimonio, il 2 giugno 1996.
Circa due anni dopo è nato Samuele, e l’esperienza fu così bella che poco dopo decidemmo che era arrivato il momento di raddoppiare quella felicità. Nel mese di aprile 2000 è nata Sara, e questo fu uno di quegli eventi che segnano uno spartiacque nella vita di una famiglia, un prima e un dopo; per noi un prima Sara e un dopo Sara.
famigliajpegSara presentò fin da subito delle difficoltà generalizzate a livello motorio che le hanno impedito un normale sviluppo e che tuttora persistono, impedendole lo svolgimento di molte di quelle azioni e attività che fanno parte della normalità della vita.
Mentre vedevo Sara crescere con fatica, a volte con dolore, spesso mi veniva in mente il versetto di Giovanni 10,10: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza…”. Ma dove era questa abbondanza? Io non la vedevo, vedevo solo una bimba che non parlava e che non camminava… Dopo due anni dalla sua nascita, ci fu “imposto” dal nostro parroco di andare ad Assisi a parlare con fra Massimo Cavalieri, il quale – per l’ennesima volta – ci chiedeva di confrontarci con Lorenzo e Marusca Gusmini. Giulia ed io ponevamo una forte resistenza a questa richiesta, ma l’incontro con questa coppia – per Grazia di Dio – avvenne e fu l’inizio di un percorso di rinascita.
Attraverso Marusca e Lorenzo riconoscemmo la presenza di Dio nella nostra vita; un Dio molto diverso da quello che eravamo abituati a pregare e a riconoscere; finalmente ci siamo riconosciuti amati e non più abbandonati, abbiamo ricominciato ad amare e amando siamo stati guariti.
Chi siamo ora? Siamo sposi cristiani che hanno in Cristo il loro centro, la pietra angolare, l’unico Maestro. In questi anni siamo anche cresciuti nella consapevolezza della bellezza e dell’importanza del Sacramento del matrimonio che abbiamo ricevuto. Cosa significa nella nostra quotidianità? Significa provare a vivere in modo nuovo la nostra vita, sapendo che il dono che abbiamo ricevuto non è da tenere nascosto ma deve essere condiviso. Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice:
“Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio”.
Queste parole sono state molto importanti per noi e abbiamo cercato di viverle in ogni momento della nostra vita di famiglia, anche quando tutto sembrava difficile e gli ostacoli insuperabili.
Gli eventi della nostra vita, la nascita di Sara ed altri che sono accaduti in questi ultimi anni (alcuni molto dolorosi), ci hanno educato ad accogliere l’imprevisto, a non maledire ma a benedire e ringraziare per il dono della vita, anche quando può essere più faticoso farlo. Questo è possibile solo grazie a Colui in cui crediamo e per il quale ci stiamo spendendo, perchè si è rivelato una roccia salda; ha mantenuto la sua promessa di felicità. Dio è fedele. Lui ci dice che non ci lascerà mai, che sarà con noi sempre, in ogni momento della nostra vita, e noi siamo qui a testimoniarlo.
Le cose apprese su di noi, la Verità sul nostro essere più profondo ha tenuto davanti a questi eventi, e questo non era e non è scontato, perché la vita è bella, ma anche ingiusta, almeno secondo i nostri criteri di giustizia e la sofferenza quando arriva fa male.
Tempo fa, leggendo “Diario di un dolore” di C.S. Lewis, sono stato colpito da queste parole: “non è possibile cambiare il soffrire in non soffrire: stringi i braccioli della poltrona del dentista o tieni le mani in grembo, la cosa non cambia. Il trapano continua a trapanare”.
La croce è uno strumento di morte, non è una cosa bella di per sé. È la presenza di Cristo che trasforma la Croce in un albero fecondo di vita; non è la sofferenza che è salvifica, la sofferenza anzi è pietra d’inciampo, è scandalo, è causa di divisione e rottura delle relazioni, anche con Dio stesso.
Il punto è aprire il proprio cuore a Dio, permettergli di operare nella nostra vita; non teniamolo sulla credenza come un bel soprammobile, una bella immagine, ma vuota. Il punto è rendere Gesù una persona viva nella nostra vita; Gesù è il nostro Signore ogni giorno, nelle piccole e grandi scelte, Gesù è Signore sempre; crediamo in un Dio che è risorto, proviamo a vivere da persone risorte, proprio quando è più difficile farlo, quando è più duro affrontare gli eventi, alziamo lo sguardo al Signore che non ci salva “dalla” morte, almeno quella fisica, ma ci salva “nella” morte, trasforma la nostra vita, la rende più bella proprio ora, qua, adesso e noi abbiamo bisogno di prove concrete… “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza… …quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1GV 1,1-4).
Allora possiamo arrivare a ringraziare per la presenza di Sara e di tutti e tre i nostri figli nella nostra vita (Anna è arrivata tre anni dopo Sara), per come sono, per come ci sono stati donati, e non per quello che avremmo voluto che fossero, e proviamo ogni giorno di offrirli al Signore, certi che Lui non li abbandonerà, che già si sta prendendo cura di loro. E sperimentiamo nei fatti come la nostra vita sia cambiata, in meglio…

GENERARE FUTURO
In questo secondo momento vorrei portare alcune riflessioni sul tema della giornata, che scaturiscono dalla nostra esperienza di vita.
Il tema del messaggio dei Vescovi per quest’anno è “Generare Futuro”; il futuro nostro è legato ai figli, ai bambini che nascono, che sono chiamati alla vita dallo Spirito creatore (con l’aiuto di papà e mamma); è un dato naturale… se non ci prendiamo cura dei bambini, soprattutto quando sono più indifesi e vulnerabili, nel grembo materno, noi ci facciamo del male, siamo autolesionisti, ci togliamo la speranza, contrastiamo il progetto originale di Dio.
Poi i Vescovi ci dicono che i genitori sono anche educatori e non possono non esserlo: “La nascita spalanca l’orizzonte verso passi ulteriori che disegneranno il suo futuro, quello dei suoi genitori e della società che lo circonda, nella quale egli è chiamato ad offrire un contributo originale. Questo percorso mette in evidenza “il nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa si innesta nell’atto generativo e nell’esperienza dell’essere figli”, nella consapevolezza che “il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti”.
Noi adulti siamo educatori quando insegniamo ai nostri figli ad essere uomini e donne di speranza, capaci di amare gratuitamente, capaci di difendere il debole, capaci di non abbattersi davanti alle difficoltà, capaci di aver fede… e i nostri figli impareranno questo se lo vedranno da noi.
Nella seconda parte del messaggio i Vescovi scrivono poi della necessità di superare la “cultura dello scarto”, accogliendo con stupore la vita e il mistero che vi abita, e forte è il richiamo al Salmo 118, “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo…ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi….”
Sara è diventata la testata d’angolo della nostra vita, perché la sua presenza ci ha permesso di aprire gli occhi su cosa è davvero importante, sul valore delle piccole cose, dei piccoli passi guadagnati con impegno, sudore e lacrime. La nostra esperienza di genitori di Sara ci ha resi attenti alle fatiche di altri genitori, ad essere disposti ad ascoltare perché noi siamo stati ascoltati, Sara ci ha resi disponibili ad amare perché siamo stati amati per primi.
Ecco allora che “Generare Futuro”, per la nostra esperienza e credo per ogni coppia cristiana, non dipende solo dal numero di figli (penso a tante coppie di amici che non riescono ad avere figli), o se i figli sono tutti prestanti e produttivi; generare futuro significa, a mio parere, essere costruttori di pace, portatori di speranza, significa essere padri e madri responsabili, non solo dei nostri figli biologici, ma anche delle persone che il Signore pone sulla nostra strada.
In conclusione del messaggio, i Vescovi scrivono infatti queste parole: “la famiglia e la comunità umana accompagnano chi è rivestito di debolezza, ammalato, anziano, nonautosufficiente, non solo restituendo quanto dovuto, ma facendo unità attorno alla persona ora fragile, bisognosa, affidata alle cure e alle mani provvide degli altri”.
Io non sono padre solo di Sara, Samuele e Anna, ma se ci fosse bisogno anche di Gabriele, Mario, Andrea, Lavinia, Amadou, Alessandro, Erika, Luca…e non sono nomi detti a caso…
Tutte le vite di ogni uomo e ogni donna sono donate in abbondanza e non esiste una vita che non sia degna di essere vissuta; ciò che non è degno è lasciare sola una famiglia quando deve affrontare la malattia, la non autosufficienza, la disabilità… non è degno per la società civile e non è degno nemmeno per la comunità cristiana.

Sul sito www.uildm.org si possono richiedere alcuni testi dei coniugi Gabella.