Predazzo, 18 luglio 2013

jpegortiIl 18 luglio u.s. nell’Aula Magna del Municipio di Predazzo, alla presenza del Sindaco, Maria Bosin e dell’Assessore alla cultura, Lucio Dellasega, per la Rassegna “Un aperitivo con l’autore”, è stato presentato il libro di Lucia Baldo “Gli orti di Predazzo. Una storia, tante storie”.
L’incontro si è svolto nella forma dell’intervista guidata dall’Assessore alla cultura, il quale ha esordito osservando come già l’esploratrice Edwards, nell’Ottocento, scendendo a Predazzo dal Passo Rolle, fosse piena di stupore nel vedere un paese ricco di acqua e di orti (da lei chiamati ‘giardini’) anche tra le case del centro storico dove, all’acqua delle numerose fontane, le donne lavavano i loro ortaggi.
Certo oggi per le vie di Predazzo non si trovano più queste scene pittoresche di vita paesana, ma restano ancora (almeno in parte) gli orti che, con le sfumature del color verde e con i fiori multicolori, portano una nota di gaiezza e di vivacità nel paesaggio urbano, rendendolo più naturale e trasformandolo in spazio di ospitalità e di incontro, ovvero in spazio veramente abitato.
‘Abitare’ in molte lingue è sinonimo di ‘vivere’. Questo libro vuol essere un inno alla vita o, come ha detto l’Assessore, “una metafora della vita” che cresce e si espande.
Gli orti creano un ambiente che rende possibili sia relazioni tra le forme viventi, siano esse vegetali o animali, sia esperienze umane che sarebbero impensabili nelle realtà spersonalizzanti delle periferie anonime e cementificate delle grandi città.
Italo Calvino ne “Le città invisibili” dice che ci sono due tipi di città: quelle che danno forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare le città o ne sono cancellati. Nel libro “Gli orti di Predazzo” trovano espressione i desideri, le aspirazioni a vivere in una comunità di vita profetica, cioè ancorata alle tradizioni, ma, al contempo aperta al futuro, animata, viva, veramente abitata e non nichilista ovvero occupata da persone ridotte a cose tra le cose. Abitare non è occupare. Gli oggetti occupano; le persone abitano.
Le città ipertecnologizzate, plasmate dal culto della mobilità veloce, cancellano gli orti che richiedono tempi lunghi di attesa in vista del raccolto, mentre la tecnologia fine a se stessa applicata alle colture, è a favore di interventi che siano volti a massimizzare i profitti, a realizzare tutto e subito, anche a costo di violare i processi naturali di crescita delle piante.
Gli orti veramente ‘abitati’ sono una comunità di vita, perché dove c’è la vita, si propaga la vita. Sono luoghi di cura, di custodia, dove si lascia spazio alle forme viventi. Allora l’ortolano non è un padrone che usa la vita e di essa anche abusa, secondo la concezione della “proprietà” del diritto romano, ma è un amministratore, un “servo” che si pone al servizio della vita per favorirla, sapendo che essa non dipende totalmente da lui. Infatti il germoglio sfonda il terreno anche all’insaputa dell’ortolano che sarà il primo a stupirsi del miracolo della vita e non potrà non avvertire che essa non è nelle sue mani, non gli appartiene, ma gli può essere solo affidata; e di questo deve rendersi degno.jpegluc
L’ortolano non può ergersi a unico regolatore del sistema naturale, trasformando il lavoro dell’orto in un’applicazione di formule tecniche che lo soffocano a lungo andare, poiché riparare i danni arrecati dalla tecnica (uso di concimi chimici, sovralimentazione delle piante che favorisce la proliferazione di parassiti…) con la tecnica (uso sconsiderato di disinfestanti e di antiparassitari…) è illusorio e pericoloso.
Le nuove tendenze dell’orticoltura mirano a introdurre nemici naturali degli insetti nocivi, come la coccinella che è nemica degli afidi, a creare consociazioni tra piante che si sostengono a vicenda, come la carota e il porro, poiché la prima allontana il verme del porro, mentre quest’ultimo allontana la mosca della carota. Non è forse vero che l’orto è una comunità solidale di vita, come avviene tra le persone quando instaurano tra di loro vincoli di familiarità?
Intorno e dentro gli orti di Predazzo, nel libro citato, si svolgono tante storie che portano alla ribalta personaggi che sono tutti (o quasi) vicini di casa e di orto. Ma al centro di tutte queste storie ce n’è una, quella dei due protagonisti, Flora e Colòto, che le unifica tutte, dalla quale ha inizio e con la quale termina il libro. Le vicende si snodano in un ricco intreccio di scene di vita paesana, vita di una comunità fortemente segnata da un’antichissima tradizione tuttora esistente: la Magnifica Comunità di Fiemme (MCF), che, nel 1111, fu approvata dai principi vescovi di Trento a garanzia del diritto concesso ai Fiemmazzi di organizzarsi autonomamente come comunità. A questa tradizione Predazzo non deve rinunciare, ma deve trovare in essa la propria identità da valorizzare e da difendere con consapevolezza sempre maggiore, proprio perché la MCF è una proprietà indivisa e, quindi, da gestire insieme, in spirito comunionale.
L’incontro è proseguito con numerosi e vivaci interventi da parte del pubblico, dai quali è emerso un mondo di esperienze, di ricordi, di legami affettivi con la terra lasciata in eredità dalle generazioni passate che hanno trasmesso insieme agli orti anche un vissuto di tradizioni, di saggezza, di umanità che ancor oggi costituisce un patrimonio comune da conservare.
Come non ricordare il “semenzaio” che ogni anno tornava a Predazzo provenendo dal Tesino, per vendere i suoi preziosi semi! Era conosciuto da tutti e lui, a sua volta, conosceva tutti. Si ricordava di loro e li chiamava per nome. Peccato che a volte nel suo viaggio un po’ movimentato sulla corriera di linea, i semi si mescolassero tra loro, cosicché accadeva che si credesse di seminare prezzemolo e, invece, spuntassero… carote! Pazienza! Nessuno inveiva per questo. “Erano altri tempi, più ricchi di umanità e oggi irrimediabilmente perduti!”, qualcuno ha osservato con evidente nostalgia.
jpegsalaMa il libro sugli orti di Predazzo non lascia spazio alla nostalgia, bensì vuole costituire una forza propulsiva perché si conservi l’eredità migliore del passato e la si arricchisca con l’acquisizione di competenze e saperi nuovi aperti al futuro e alle generazioni che verranno.
Confidiamo che la cultura degli orti non vada perduta, ma diventi sempre più una preziosa opportunità per fare esperienza di relazioni umane e di un contatto fisico con “madre terra” che aiuti a ricomporre equilibri psico-fisici minacciati e a sanare forme di disagio psico-affettivo oggi tanto diffuse.
Molte idee sono emerse per suggerire percorsi di approfondimento e di sviluppo sui temi esposti. Tra queste spicca la proposta di “bandire un concorso per l’orto più bello di Predazzo o, dopo questo incontro – come qualcuno ha detto – per l’orto più amato!
In conclusione il Sindaco, Maria Bosin, ha rivolto a tutti il suo saluto ed ha espresso il suo apprezzamento per la profondità e la ricchezza degli interventi. Dopo aver detto parole lusinghiere all’Assessore per la partecipazione e la competenza con cui ha condotto l’incontro, ha ringraziato l’autrice per aver saputo suscitare in lei, grazie alla sua abilità descrittiva, ricordi vivi e mai sopiti della sua nonna morta a 103 anni. Ella, pur in condizioni precarie di salute, nemmeno alla fine della sua vita seppe rinunciare al lavoro della terra dalla quale trasse quella tempra forte e tenace che non l’abbandonò mai e che la rese per i suoi figli e nipoti un esempio da imitare e da cui trarre un insegnamento perenne. Grazie all’apporto di tutti, le riflessioni sugli orti di Predazzo hanno dischiuso nuove prospettive di approfondimento per rinsaldare il legame con le proprie tradizioni e acquisire una maggior consapevolezza della propria identità culturale e umana.

Graziella Baldo-