dono-della-liberta-2La crisi attuale
Dei tre cardini ideali proclamati dalla rivoluzione francese la libertà e l’uguaglianza sono stati sviluppati rispettivamente dall’ideologia liberale e dall’ideologia socialista (la fraternità è stata messa nell’angolo, forse perché odorava troppo di sacrestia). Ma entrambe si sono rivelate fallimentari: la prima ha portato all’esaltazione dell’individuo e alla sua assoluta autodeterminazione, sganciandolo totalmente dalla sua responsabilità sociale, mentre la seconda ha portato ad un egualitarismo che ha negato le differenze e la libera iniziativa. All’opposto delle attese le ideologie hanno separato ed allontanato gli ideali rivoluzionari dal loro orizzonte unitario iniziale e li hanno fatti divenire concetti antitetici, espressioni di opposti interessi. Il Sessantotto è stato un movimento giovanile di contestazione e di opposizione alla società borghese e capitalistica della quale furono rifiutati il sistema di valori, gli stili di vita e la figura del padre, inteso come il principale riferimento dell’autorità. I divieti venivano considerati un impedimento dell’esercizio della libertà. Gli effetti più negativi dell’ideologia sessantottina si possono intravedere oggi nella demolizione progressiva del concetto di autorità soprattutto paterna e perciò della famiglia.

La verità rende liberi
Le crisi danno slancio alle novità! Può essere interessante ricordare che il termine “autorità” deriva da “augere” che significa “far crescere”. L’educatore era in origine l’autorità che fa crescere il giovane. Secondo questo significato, se al padre non viene riconosciuta tale autorità, è ostacolato il processo di maturazione dei figli che necessitano di persone autorevoli per sviluppare la loro personalità. Recuperando il valore dell’“autorità” (intesa come “autorevolezza” e non come “autoritarismo”) si può anche comprendere meglio la “libertà” non riducendola più alla possibilità di appagamento di ogni desiderio.
Ma per fare questo occorre conoscere la verità sull’uomo! Occorre chiedersi se egli possiede la libertà o se può solo riceverla come un dono!
Innanzitutto chiediamoci quando un atto è libero. Il modello non è forse l’atto d’amore di Cristo che per salvare l’uomo ha dato tutto se stesso senza chiedere niente in cambio? Cristo, con il suo sacrificio non ha forse rivelato la verità sull’uomo indicando il cammino per essere nuova creatura, per ricevere il dono della libertà di amare e di scegliere il bene per se stesso? Il vero sacrificio (da “sacrum facere”) non dà la morte, ma dà la vita! Tuttavia la cultura attuale è lontana da questo orizzonte, poiché aborrisce il sacrificio che considera incompatibile con la libertà. Come dice il papa: “L’uomo di oggi non capisce più immediatamente che il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri peccati. Sono formule grandi e vere, e che tuttavia non trovano posto nella nostra forma mentis e nella nostra immagine del mondo” (Benedetto XVI, Luce del mondo, Città del Vaticano, 2010, p.192).

dono-della-libertaS. Francesco uomo libero
C’è un episodio della vita di S. Francesco che fa riflettere sulla libertà anche se, a prima vista, sembra paradossale. Dopo avere riconosciuto la paternità divina ed essersi proclamato “servitore del Re altissimo”, se ne va per il mondo “affrancato dalle catene dei desideri mondani… libero e sicuro” (FF 1044). Anche se le persone che incontra non corrispondono alle sue speranze o addirittura lo maltrattano ingiustamente, come fanno i briganti che lo percuotono e lo gettano nel fosso pieno di neve, egli non si sente schiacciato dal male, non ha paura delle sofferenze, ma le affronta con animo baldanzoso e, “invaso dalla gioia”, canta le lodi del Creatore. Nell’abbandonarsi alla paternità divina S. Francesco ha operato una svolta nella sua vita: il nuovo orizzonte è quello della dipendenza, del legame generativo per cui la libertà è un dono che il figlio riceve dal Padre quando, paradossalmente, gli obbedisce.
Il Santo vuole essere cristiano in senso pieno relazionandosi al Padre mediante il Figlio e non riducendo la propria fede ad una morale, poiché il dovere per il dovere spegne la libertà. Infatti la legge indica il bene, ma è incapace di fare amare il bene per se stesso, poiché è incapace di sanare il cuore dell’uomo. La legge ha solo la capacità di smascherare l’egoismo dell’uomo che, avendo il cuore malato, compie con orgoglio il bene indicato dalla legge, accontentandosi del comodo e del fruibile, pretendendo, in cambio, la salvezza.
Invece il cuore sanato, anche nel sacrificio, dà senza chiedere, è pago del suo stesso donarsi, è libero dal desiderio di gratificazione che imprigiona gli uomini.
La parola “liberus”, che in latino significa “figlio”, ci può aiutare a comprendere l’orizzonte di S. Francesco che non ha più bisogno di ricompense mondane, ma si affida totalmente al Padre dal quale nessuno potrà separarlo, Lui che è il suo creatore e lo conosce fino in fondo.
Infatti la relazione col Padre sana il cuore del figlio. Lo libera dal ripiegamento su se stesso cosicché non è più solo di fronte al mondo, ma si sente protetto ed accompagnato dalla presenza del Padre che lo trasforma, che gli fa vedere la realtà con occhi diversi e gli dona la libertà di amare il bene.

Il cammino di liberazione
L’essere nuova creatura, l’essere liberi non è dovuto ad una trasformazione magica, cioè non è indipendente dalla nostra volontà. Il nuovo stile di vita dipende dal nostro acconsentire che lo Spirito di Dio sia riversato in noi.
“Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rm 8,14-16).
Lo Spirito di Dio è sorgente di vita nuova, ma è necessario un esercizio costante e prolungato di discernimento e di purificazione dei pensieri e dei desideri attraverso l’esperienza quotidiana nell’ascolto e nella concretizzazione della Parola nella sequela di Cristo. Non basta avere tutte le conoscenze necessarie, occorre il sacrificio dell’esercizio costante e prolungato. Bisogna esercitarsi nella prassi quotidiana dell’amore. Bisogna che progressivamente i pensieri vengano purificati, i desideri vengano limati da tutto quello che c’è in loro di negativo e di superfluo, e poi vengano indirizzati al meglio” (mons. Luciano Monari, vescovo).
Sarebbe ingenuo pensare che la fede tolga immediatamente dal nostro cuore i desideri di orgoglio o recida le radici dell’egoismo. Finché queste radici non sono tolte o finché il nostro cuore non si lascia attirare da desideri nuovi, la vita cristiana fa fatica a manifestarsi. Solo quando il desiderio del bene sarà più forte del desiderio di riuscita o di successo, solo quando i pensieri si organizzeranno intorno alla Parola e alle promesse di Dio, solo quando gli impulsi spontanei del cuore avranno assimilato la forza del perdono, il cristiano potrà dirsi maturo. Occorre portare a compimento quel germe che ci è stato dato nel Battesimo. Senza questo cammino di liberazione il Battesimo perde la sua forza: è come conoscere le note, ma non saper suonare per mancanza di esercizio. Senza esperienza della Parola lo Spirito è presente, ma non può prendere possesso del cuore, non può sanare il cuore. Si rimane apprendisti o neonati. È questo il rimprovero che S. Paolo rivolge ai Corinzi che, pur avendo ricevuto lo Spirito Santo nel Battesimo, sono rimasti uomini carnali:
Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come ad esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo (1 Cor 3,1). Ma poi conclude: “Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3,21-23).
La fede in Dio, attraverso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, dona la libertà della nuova creatura: nascono nuovi pensieri, una nuova capacità di rischiare, un nuovo rapporto con tutte le creature, come accadde a S. Francesco che prima della conversione aborriva i lebbrosi, ma dopo il cammino di penitenza che il Signore gli concesse, li amò con “dolcezza di anima e di corpo” (FF 110).

Graziella Baldo