“Ave, regina sapienza; il Signore ti salvi con tua sorella, la santa e pura semplicità”

Una spiritualità esperienziale
semplice come una colombaNella preghiera di S. Francesco “Saluto alle virtù”, la sapienza e la semplicità sono chiamate sorelle tra loro perché entrambe si contrappongono alla sapienza carnale: “La santa sapienza confonde Satana e tutte le sue insidie. La pura santa semplicità confonde ogni sapienza di questo mondo e la sapienza della carne” (FF 256).
Abbiamo già visto (cf Il Cantico 1/2020, pp. 3-4) che la sapienza, per S. Francesco, è da porre non sul piano del puro conoscere, ma su quello esperienziale, relazionale. La stessa cosa vale per la semplicità (cf Dizionario francescano, Ed. Messaggero Padova, p. 1863), virtù che “lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e la curiosità a chi vuole perdersi…” (FF 775). E, pur non ritenendola incompatibile con la cultura, S. Francesco pensava che potessero più facilmente “acquistarla e praticarla” coloro che “sono poveri di scienza” (ibidem). Tuttavia ciò non consente un’interpretazione semplicistica della semplicità francescana, che intenda esaltare l’ignoranza come via privilegiata per conquistare la beatitudine.
“Una volta i frati gli chiesero se aveva piacere che le persone istruite, dopo essere state accolte nell’Ordine, si applicassero allo studio della Scrittura; ed egli rispose: ‘Ne ho piacere, sì; purché, però, sull’esempio di Cristo, … studino non tanto per sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese e, solo quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri.
Voglio – disse – che i miei frati siano discepoli del Vangelo e progrediscano nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità. Così non disgiungeranno la semplicità della colomba dalla prudenza del serpente, che il Maestro insuperabile ha congiunto con la sua parola benedetta’” (FF 1188).
S. Francesco accetta lo studio se è rivolto all’agire e all’operare. Ma agire e operare non significa “produrre effetti la cui realtà è valutata in base alla loro utilità.
L’operare di cui parla Francesco è il portare a compimento la parola di Dio in se stessi con la continua conversione alla religiosità e santità interiore dello spirito, con la mortificazione e vilificazione della carne, con lo studio sollecito del farsi umile e paziente: con la ricerca della “pura e vera pace dello spirito”. Tre aggettivi (pura-semplice-vera) con sfumature diverse che dicono il medesimo e cioè l’unità dello spirito del Signore nell’uomo” (V.C. Bigi, La cura del sapere nelle Fonti Francescane, ed. Porziuncola, pp. 17-18).

Una semplicità difficile
Il Celano scrive: “Non che [S. Francesco] approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella, che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto. È quella che pone la sua gloria nel timore del Signore e che non sa dire né fare il male” (FF 775).
La semplicità è la virtù per eccellenza che persegue il bene e non la si raggiunge mai del tutto, ma è “una via” (FF 2318) da percorrere senza avere la pretesa di arrivare su questa terra al traguardo definitivo, poiché solo “Dio è semplice” (San Bonaventura, Collationes in Hexaemeron, Jaca Book, p. 91).
La pura e santa semplicità si distingue dal semplicismo, perché essa “cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nocciolo, non molte cose (multa), ma il molto (multum), il sommo e stabile Bene” (FF 775).
Questa affermazione è in linea con quanto prescrive la Regola non bollata: “Nient’altro dunque si desideri, nient’altro si voglia, nient’altro ci piaccia e ci soddisfi se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio e che è pienezza di bene, totalità di bene, completezza di bene, vero e sommo bene, che solo è buono, misericordioso e mite, soave e dolce…” (FF 70).
Per S. Bonaventura la semplicità dona “l’acutezza della colomba” (FF 1353), cioè “la penetrazione che è propria della mente semplice” e “lo sguardo puro della riflessione” (ibidem) grazie ai quali si attribuisce il giusto valore alle cose e si mira a ciò che è essenziale, quello che Celano chiama il “multum”.
Per comprendere meglio il significato del “multum” soffermiamoci sul significato etimologico del termine “semplice”. “La parola “semplice” (da “semel” = una volta e “plicare” = piegare) significa avere una sola piega ovvero non avere doppiezze, sotterfugi, in-ganni, complicazioni. “Semplice” non è il contrario di “difficile”, ma di “complesso” (cum-plexus), termine che indica ciò che ha molte pieghe, che è composto di più parti” (L. Baldo, Pace e bene, Ed. Porziuncola, p. 25).
Pertanto quello della semplicità è un cammino difficile, perché richiede quella purezza di cuore che si ottiene disprezzando le cose terrene e cercando quelle celesti, senza cessare mai di “adorare e vedere sempre il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro” (FF 165).
Nelle Fonti Francescane si trovano richiami a una semplicità che non sia da confondersi, come spesso accade, con il semplicismo. Narra il Celano che S. Francesco andando a Roma per problemi dell’Ordine, desiderò predicare davanti a Papa Onorio III e ai cardinali. Egli, introdotto davanti all’augusto consesso grazie all’aiuto di Ugolino, vescovo di Ostia, “parlava con tanto fervore che, non potendo contenersi per la letizia, mentre proferiva le parole, muoveva i piedi quasi saltellando, non come chi scherzi, ma come chi arda del fuoco dell’amore di Dio, senza suscitare il riso, ma inducendo a un pianto di compunzione”, mentre dal canto suo il vescovo di Ostia “pregava fervorosamente Iddio perché non permettesse che la semplicità di quell’anima santa venisse disprezzata” (FF 449).
Come per i cardinali che ascoltarono S. Francesco, anche per noi oggi non è facile comprendere questa santa e pura semplicità, poiché è più facile confonderla con la superficialità di chi ha scarse capacità intellettive e critiche. Per poterci accostare alla spiritualità francescana evitando il più possibile ogni fraintendimento, occorre cercare di rovesciare la sapienza di questo mondo in cui siamo calati e che è fatta di idoli, per sostituirla con la vera sapienza del cuore che è la sapienza di Dio.

Lucia Baldo

IL CANTICO
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata