Un commento alla “Esortazione ai fratelli e sorelle della penitenza” (FF 178), prima redazione della “Lettera ai fedeli” di S. Francesco d’Assisi ci accompagnerà dalle pagine del Cantico a coglierne i tratti fondamentali per porci in una prospettiva di profonda conversione in questo Anno della Fede.

letterafedeli4. “… QUANTO MAI SONO BEATI E BENEDETTI QUESTI E QUESTE”
[Di coloro che fanno penitenza] La penitenza è generalmente vista, anche in ambito cristiano, come qualcosa di medioevale o ancora più antico (gli Stoici invitavano a sostenere le avversità e ad astenersi dalle gioie: “sustine et abstine”) o legato ad una visione negativa del corpo. Comunque, anche accettandola, la si collega alla tristezza o all’infelicità almeno su questa terra. Ma ecco il paradosso francescano: “quanto mai sono felici (laeti) questi e queste facendo tali cose”, cioè facendo penitenza. Essa consente di essere dimora dello Spirito, di chiamare Dio padre e Cristo fratello e figlio e sposo. La grandezza dell’uomo e la sua realizzazione è espressa dagli aggettivi elencati in un crescendo di approfondimento: “o come è cosa gloriosa… santa… amabile…”. Questi aggettivi esaltano la bellezza di un’interiorità rappacificata e armonizzata in se stessa dal suo rapporto col Signore. Esprimono una pienezza di senso nella vita che solo la presenza dell’amore incarnato secondo il modello proposto da Cristo, può dare. Rimandano alla gioia di S. Francesco che in essi racconta la sua esperienza. Come altrimenti avrebbe potuto esprimerli con tanto vigore se non fosse stato coinvolto nelle fibre più nascoste del suo essere? La Lettera ai Fedeli (1ª redazione) indica nella penitenza la via per realizzare la letizia, prospetta un cammino soleggiato di vita vissuta nell’amore che non si aspetta di essere ricambiato (cfr FF 278) perché l’amore è dono che si nutre del suo donarsi.

5. “… E SONO SPOSI DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO”
S. Francesco nel cantare la sua felicità per la pienezza di vita a cui il Signore lo ha chiamato, indica, a coloro che vogliono raggiungere la perfezione della vita cristiana attraverso la penitenza, la modalità del rapporto con Cristo: è un legame familiare multiplo che sarebbe impensabile nell’ordine naturale delle cose. Nel linguaggio della materia non ci possono essere invasioni di campo delle varie realtà che sono sempre parziali e limitate (per esempio il fratello non è sposo, non è madre). Invece nel linguaggio dello spirito una realtà è nell’altra per un arricchimento reciproco (lo sposo è insieme fratello, figlio, padre). Contrariamente all’“impenitente” che si rapporta solo ai suoi famigliari a cui si affida totalmente, coloro che fanno penitenza sono i famigliari di Cristo. Vengono in mente le parole evangeliche che invitano ad amare Gesù più di quanto si amino i propri parenti (cfr Lc 14,26, La Bibbia di Gerusalemme, edizione 2009). La sponsalità con Cristo pone l’accento sulla profondissima comunione, anche se il binomio io-Tu, quando si riferisce alla sponsalità mistica con Cristo, non è fondato sulla reciprocità, come invece accade nella sponsalità terrena. Nella sponsalità mistica permane un’asimmetria che non sfocia nella reciprocità propria di chi è allo stesso livello. Cristo è sempre quella sorgente che ci dà la vita, ma non trae da noi la vita. All’inizio del suo cammino di conversione aveva chiesto al suo Signore: “Chi se’ Tu o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” e poi, in seguito a questo incontro, affermò: “mi erano mostrati all’anima mia due lumi, l’uno della notizia e conoscimento di me medesimo, l’altro della notizia e conoscimento del Creatore” (FF 1916). S. Francesco avverte la comunione col Tu che gli dà forza e gli fa trovare un senso unificante che gli consente di comprendersi attraverso l’incontro e non attraverso il ripiegamento su se stesso. Oggi più che mai l’uomo post-moderno ha bisogno di uscire da sé per trovare un senso che unifichi le sue esperienze molto spesso disarmoniche, in quanto affettività e razionalità sono spesso separate l’una dall’altra. Invece egli è ripiegato sulla propria autodeterminazione e cerca di vivere esperienze che gli facciano provare forti emozioni, mentre riserva la razionalità ad ambiti scientifici o tecnici. La fragilità costitutiva dell’essere umano frammentato si può ricomporre in unità e pienezza di senso solo nella ricerca sempre in atto di quel Tu da cui proviene la vita. (Continua)

Graziella Baldo