Cosa si nasconde dietro l’espressione bene comune? Un modo semplice, ma efficace, di afferrare il significato di bene comune è quello di porlo al confronto col concetto di bene totale.
Mentre il bene totale può essere metaforicamente reso con l’immagine di una sommatoria, i cui addendi rappresentano i beni individuali (o dei gruppi sociali di cui è formata la società), il bene comune è piuttosto paragonabile ad una moltiplicazione, i cui fattori rappresentano i beni dei singoli individui (o gruppi).
Immediato è il senso della metafora: in una sommatoria se anche alcuni degli addendi si annullano, la somma totale resta comunque positiva. Anzi, può addirittura accadere che se l’obiettivo è quello di massimizzare il bene totale (ad es. il PIL nazionale) convenga “annullare” il bene (o benessere) di qualcuno a condizione che il guadagno di benessere di qualcuno altro aumenti in misura sufficiente per più che compensarlo.
Non così, invece, con una moltiplicazione: l’annullamento anche di un solo fattore azzera l’intero prodotto.
Detto in altri termini, quella del bene comune è una logica che non ammette sostituibilità (ovvero trade off): non si può sacrificare il bene di qualcuno – quale che ne sia la situazione di vita o la configurazione sociale – per migliorare il bene qualcun altro e ciò per la fondamentale ragione che quel qualcuno è pur sempre una persona umana!
Per la logica del bene totale, invece, quel qualcuno è un individuo, cioè un soggetto identificato da una particolare funzione di utilità e le utilità – come si sa – si possono tranquillamente sommare (o confrontare), perché non hanno volto, cioè identità, né storia.

Stefano Zamagni

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata