Figli che non sono orfani
Nell’enciclica “Fratelli Tutti” papa Francesco sostiene che il tema della fraternità trova il suo “fondamento ultimo” (FT 272) nella paternità di Dio. Infatti “come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi. Perché la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità”.
Ma il riferimento a una divinità paterna non è sufficiente per fondare la fraternità universale che non può essere concepita senza riferirsi al Vangelo. Come osserva Benedetto XVI: “Di un Dio padre possono parlare anche la religione mitica, Platone, la Stoa e, infine, anche il deismo illuministico dell’evo moderno.
Ma si tratta sempre di qualcosa di completamente diverso da quel che la fede cristiana intende affermare quando dice Padre Nostro…” (J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, München 1960, p. 60).
La fraternità cristiana è conosciuta solo vivendo in modo pieno la paternità di Dio.
Nella sua parafrasi al Padre Nostro S. Francesco ci descrive il Dio dei cristiani come un Padre che non si chiude nel suo isolamento, ma vuole farsi conoscere e soprattutto vuole essere amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, in modo che spendiamo tutte le nostre forze, energie e sensibilità a servizio del suo amore e non per altro e affinché amiamo il nostro prossimo come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al suo amore… (cfr. FF 270).
Il Dio dei cristiani vuole che costruiamo la fraternità attraverso il suo amore che possiamo conoscere solo attraverso la mediazione di Cristo che si è manifestato come “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29) per ricondurci al Padre.

Lasciarsi servire da Cristo
Per comprendere quell’amore non occorrono discorsi persuasivi, ma è fondamentale farne l’esperienza che Cristo ci può consentire.
Nel brano della lavanda dei piedi si pone in evidenza un particolare che di solito passa inosservato. Di solito non si dà peso all’affermazione che Gesù rivolge a Pietro: “Se non ti laverò non avrai parte con me” (Gv 13,8). Invece essa è fondamentale per capire che dobbiamo prima farci servire da Lui se vogliamo servire veramente gli altri e non in maniera solo appariscente. Ma è difficile accettare di farsi servire da Cristo, perché significa riconoscere il bisogno di purificare il proprio modo di amare attraverso l’assunzione dell’amore di Cristo!
Come noi anche Pietro non vorrebbe farsi lavare.
Nella Lettera a tutti i Fedeli S. Francesco esplicita questa dipendenza da Cristo dicendo che essa consiste nel ricevere il corpo e sangue di Cristo, nel ricevere la Parola per poi diffonderla, nell’essere santificati ricevendo lo Spirito Santo per poi agire come Cristo ha agito cioè con opere sante.
Dunque la prima fatica dei cristiani è lasciarsi servire da Cristo, cioè ammettere che ci è indispensabile la comunione con Lui, che abbiamo bisogno del suo aiuto, della sua grazia, senza la quale nemmeno siamo capaci di riconoscere quell’amore.
La seconda fatica cristiana è quella di metterci, a nostra volta, al suo servizio. Così compiremo “il santo operare che deve risplendere in esempio per gli altri” (FF 178/2).
Vivendo ed agendo con Lui come “sposi, fratelli, madri” di Lui possiamo comunicare quell’amore e costruire la fraternità.

Il cuore guarito
La spiritualità francescana, che è la spiritualità dell’amore, pone a fondamento del cammino di fede la povertà di spirito che comporta anche la consapevolezza di essere poveri peccatori che hanno vulnerato l’amore, ma che vogliono superare il loro modo possessivo di amare, trasformandolo in amore di dono (cfr. FF 163).
Quando S. Francesco dice di essere “il più grande peccatore” (FF 1838) non fa solo un gesto di modestia, ma di grandezza in quanto sente di aver fatto qualcosa di grande riconoscendo di essere un povero peccatore che ha ferito l’amore e che lo ha risanato accogliendo in sé l’amore divino.
Non solo per convertire noi stessi, ma anche per costruire la fraternità, abbiamo bisogno di lasciarci curare il cuore malato. Come dice S. Bonaventura:
“È necessario che l’amore sia risanato, altrimenti tutti gli affetti sono distorti…” (S. Bonaventura, La sapienza cristiana, Collationes in Hexaemeron, Coll. VII, n. 14, Jaka Book, Milano 1985, p. 127 ).
S. Francesco ha saputo costruire la fraternità trascinando tanti fratelli dietro di sé, soprattutto i tribolati che hanno percepito in lui la presenza dell’amore misericordioso di Dio e ne sono stati contagiati.

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata