chiarajpegS. Chiara si è donata totalmente alla famiglia di Cristo e l’ha realizzata nella sua vita.
Per lei la famiglia di Cristo era il suo monastero, divenuto chiesa domestica, che si rivelò come centro di irradiazione cristiana e di comunione, di amore per altri monasteri. Infatti già nel 1228 erano circa venticinque i monasteri sorti nel mondo a imitazione o sotto la forza feconda della presenza di S. Chiara.
Per lei essere famiglia di Cristo significava anche vivere la comunione con tutti i sofferenti che si recavano da lei per ricevere il suo aiuto. Molte volte ella li guariva con un segno di croce.
S. Chiara viveva anche la comunione con la città di Assisi che venne liberata dalle truppe dell’imperatore e dall’assedio dei Saraceni proprio per le sue preghiere.

Fecondità e verginità
Nella nostra mentalità materialistica sembra assurdo collegare la condizione di S. Chiara, che non si è sposata, con la maternità. Sul piano psicologico e biologico, questa perplessità può essere giustificata. Ma nel mistero cristiano tra verginità e maternità non v’è opposizione.
Pensiamo a Maria, vergine e madre, che è modello e immagine della Chiesa. In lei la verginità si congiunge con la fecondità che è caratteristica della maternità.
S. Chiara è la donna che ricupera il senso e la presenza di Maria. Perciò dobbiamo togliere dal nostro orizzonte di valorizzazione questa opposizione tra verginità e fecondità. La famiglia di Cristo è caratterizzata da una fecondità spirituale fortissima.

La novità carismatica della famiglia di S. Chiara
S. Chiara a 18 anni rifiuta nozze prestigiose con principi, che suo padre aveva progettato per lei, lascia il suo palazzo di Assisi e sceglie la sua strada in un tempo in cui le donne non potevano decidere della propria vita, poiché altri decidevano per loro.
Per tutta la sua vita ella difende la sua scelta, che vive come una missione, con una fortezza e una pazienza inesauribili, motivate dalla consapevolezza che la sua famiglia di S. Damiano si dimostra nuova di fronte alle tradizioni monacali.
Al suo tempo la donna era vista come un essere inferiore da custodire con rigorosa clausura e da sostentare perché non incorresse in pericoli e difficoltà. Di fronte a Innocenzo III, a Gregorio IX, a Innocenzo IV, S. Chiara difende la novità carismatica della sua famiglia. E in questa difesa vince, perché sul letto di morte le viene consegnata quella Regola per la quale aveva combattuto sempre in difesa del carisma originale della sua famiglia.

Un cuor solo e un’anima sola
Negli Scritti di S. Chiara e nelle testimonianze giurate che le suore rendono per la sua canonizzazione, troviamo sempre un linguaggio familiare per cui S. Chiara è chiamata “sorella”, “madre” e “serva”. Ella riservava per sé i lavori più umilianti e più ripugnanti.sdamjpeg
Era il rifugio di comunione per le suore più tribolare ed ammalate. All’interno della fraternità delle suore di S. Damiano, ella esercitava una forza di servizio che produceva una comunione straordinaria.
Erano donne di estrazione differente, nobili e popolane. Formavano una comunità numerosa, di quaranta o cinquanta persone. Eppure, lungi dal lasciarsi dominare da divergenze o da egoismi, avevano un cuor solo e un’anima sola. Questa originalità divenne una rivelazione, una luce per tante altre famiglie che chiedevano consigli alle suore di S. Damiano perché in quella comunità vedevano messa in pratica quella novità del dono che è l’anima della famiglia cristiana.
La familiarità di Cristo realizzata da S. Chiara divenne il simbolo del matrimonio cristiano.

(Tratto da una relazione di p. Cherubino Bigi a cura di Lucia Baldo)