La vera letizia
La parola “letizia” è una parola-testimonio del pensiero francescano. Poco diffusa nel linguaggio comune indica uno stato di gioia, ma senza una causa precisa.
La letizia è lo stato di chi, imitando Cristo, si lascia plasmare da Lui come un vaso dal suo vasaio e così è lieto di vivere in unione con Lui.
È lo stato dell’umile, poiché “l’umiliazione è parte ineludibile dell’imitazione di Cristo” (GE 118).
È un dono che S. Francesco inseguì con il “suo più alto e appassionato impegno” (FF 1653). È la nota fondamentale di tutta la sua vita.
“Ottimista e gioviale per natura” (FF 1398) seppe mantenere questa nota “nella tribolazione come nella prosperità” (FF 1653), come egli stesso afferma: “Ebbene, non mi sembra che sarei un frate minore, se non godo quando mi umiliano e mi scacciano non volendomi loro prelato, come quando mi venerano e onorano” (FF 1754).
Egli ci lascia un esempio di “vera letizia” quando, tornando d’inverno a notte fonda da Perugia a S. Maria degli Angeli, infreddolito e con i piedi insanguinati dai ghiaccioli che gli percuotono le gambe, bussa alla porta del convento, ma viene respinto in malomodo dal frate portinaio, nonostante egli lo implori con insistenza di aprirgli per amore di Dio.
In questa e in simili situazioni S. Francesco afferma: “Io ti dico che se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questo è vera letizia e vera virtù e la salvezza dell’anima” (FF 278).
Ne dà una motivazione nella Regola non Bollata: “E si guardino tutti i frati, sia i ministri e servi sia gli altri, dal turbarsi e dall’adirarsi per il peccato o il cattivo esempio di un altro, perché il diavolo per la colpa di uno vuole corrompere molti; ma spiritualmente, come meglio possono, aiutino chi ha peccato, perché non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico, ma gli ammalati” (FF 18).
Infatti la colpa del peccatore ricade su chi lo giudica e si lascia trasportare dal turbamento e dall’ira (cfr. FF 160), “poiché l’ira e il risentimento impediscono in sé e negli altri la carità” (FF 95).
La carità non condanna il peccatore, ma lo ama per poterlo guarire e “attrarlo al Signore” (FF 235).
… nell’unione con Lui
Nella Regola non Bollata troviamo un altro imperativo: “Si guardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti. Ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente allegri” (FF 27).
S. Francesco pensava che fosse fondamentale conservare la letizia, poiché essa è una difesa contro il diffondersi del peccato. Essa allontana i demoni che sono “invidiosi” (FF 1653) dei benefici concessi a chi è lieto grazie alla comunione con Dio.
Il Santo riteneva che i demoni non possono recare danno cercando di aprire una “breccia” (FF 1653) per entrare nella coscienza del servo di Cristo quando lo vedono “santamente giocondo” (FF 709).
Secondo S. Francesco basta poco per danneggiare il servo di Dio. La tristezza genera nel cuore una “ruggine indelebile se non verrà tolta con le lacrime”. La malinconia è il “peggiore di tutti i mali, tanto che egli correva il più presto possibile all’orazione appena ne sentiva qualche cenno nel cuore”. E perseverava davanti al Padre fino a che non gli avesse restituito la “letizia della salvezza”.
Rimproverava i frati quando li vedeva tristi e di malumore (cfr. FF 1793), anche perché i demoni, non riuscendo ad insidiare lui direttamente, avevano tentato di nuocergli attraverso i suoi compagni tristi e di malumore.
Si racconta che il Poverello di Assisi disse ad un suo compagno di non mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno; di piangere e gemere per i suoi peccati nella sua stanza alla presenza di Dio e solo dopo di tornare in mezzo agli altri per condurli alla letizia, perché come il compagno poteva nuocere con la sua tristezza, così poteva aiutare a riconquistare la letizia (cfr. FF 712.1653).
Concludendo, la tristezza e la letizia sono ugualmente contagiose, ma la letizia è possibile solo all’umile che la trova nell’unione con il Signore. Partecipando alla vita divina l’umile è consorte di Gesù, cioè condivide la sua sorte e “non ha giocondità e letizia se non nelle parole e nelle opere santissime del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio in gaudio e letizia” (FF 170).
Graziella Baldo
Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata