Pubblichiamo la seconda parte della riflessione di S.E. Mons. Mario Toso “Per un nuovo umanesimo del lavoro in Cristo secondo Papa Francesco” che, in preparazione al Convegno Ecclesiale di Firenze “In Cristo un nuovo umanesimo”, accompagnerà i lettori anche nei prossimi numeri del Cantico.

foto tosoNell’Evangelii gaudium si sollecita una nuova evangelizzazione del sociale, comprensiva di molteplici settori dell’attività umana. Non a caso, papa Francesco, rimanda per la loro considerazione, al Compendio della dottrina sociale della Chiesa8, limitando la sua attenzione – peraltro, egli è perfettamente cosciente che sta scrivendo non un’enciclica sociale, bensì un’esortazione apostolica post-sinodale – a due grandi questioni: l’inclusione sociale o integrazione dei poveri, la pace e il dialogo sociale.
È proprio in questo contesto che papa Francesco viene a parlare del lavoro nelle sue dimensioni antropologiche, etiche, sociali, economiche, politiche, culturali, religiose. Si evidenziano qui alcune sue sollecitazioni, in vista di una nuovo umanesimo del lavoro, che dovrebbe ovviamente avere inevitabili conseguenze dal punto di vista sociale e politico, sul piano europeo e mondiale9.
In un contesto di quotidiana precarietà e di marginalizzazione del lavoro rispetto alla dignità della persona e dello sviluppo integrale di tutti, secondo il pontefice argentino occorre, anzitutto, ribaltare quelle ideologie neoliberiste che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria senza limiti (cf EG n. 56).
Le suddette ideologie, di impostazione neoindividualista e neoutilitarista, impongono il primato del denaro e della finanza speculativa sulla politica e sul rispettivo bene comune, contribuendo, fra l’altro, alla destrutturazione del mondo del lavoro – specie quello subordinato – e dell’economia produttiva.
Per esse, il lavoro non è un bene fondamentale per le persone e le società, per le famiglie e il bene comune, – e, quindi, un diritto vero e proprio –, bensì un «bene minore», una variabile dipendente dei mercati finanziari e monetari. Il bene comune è il prodotto naturale delle forze finanziarie, lasciate a se stesse, governate dalla tecnocrazia.
In tal modo, in nome di una presunta modernità economico-finanziaria, alla quale si attribuisce un potere taumaturgico rispetto alla fame e alla povertà, si promuove, di fatto, una progressiva regressione della dignità della persona del lavoratore e delle condizioni del lavoro stesso. Il primato di un’economia finanziarizzata e non regolata, porta all’impoverimento e al rattrappimento delle classi medie, allo svuotamento della civiltà del lavoro e dell’economia sociale, pilastri dello Stato sociale e democratico del secolo scorso, nonché al sottodimensionamento delle rappresentanze professionali e sindacali, alla pratica di una finanza senza responsabilità sociale ed ambientale.
Con riferimento all’attuale destrutturazione del mondo del lavoro appaiono particolarmente istruttive la diagnosi e la terapia proposte da papa Francesco. Secondo il pontefice argentino, la causa prima di una simile destrutturazione e desemantizzazione del lavoro non è ancora quella di una finanza stravolta dall’avidità e assurta a bene assoluto, quanto piuttosto – assieme ad altre di tipo tecnico, sociologico, economico e politico –10, una causa primariamente di tipo religioso, antropologico ed etico. Dietro la visione di un’«economia dell’esclusione » e consumistica, che vieta a molti il lavoro e, per conseguenza, l’appartenenza al mercato e alla società, considerandoli al massimo «esseri o beni di consumo», stanno la negazione del primato dell’essere umano sul capitale (cf EG n. 55), il rifiuto dell’etica e, più radicalmente, il rifiuto di Dio (cf EG n. 57).
Il rifiuto di Dio crea nuovi idoli, il governo del denaro sulla politica, la mancanza di un orientamento antropologico e di una gerarchia nei fini dell’uomo. Anzi, i mezzi diventano fini.
Quali sono, allora, i rimedi rispetto al degrado umano, sociale, economico e democratico del lavoro?
Papa Francesco è fermamente convinto che per risemantizzare il lavoro e restituirgli dignità occorre rimettere al centro dell’economia e della finanza la persona che lavora, specie mediante una nuova evangelizzazione che postula un capovolgimento culturale, fedele alla verità della dignità del lavoratore, soggetto e non oggetto dell’economia e della finanza. Una nuova evangelizzazione consente di riconoscere a Dio e all’uomo del lavoro i rispettivi primati, nei confronti della «dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano» (EG n. 55).
Dio chiama l’essere umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque tipo di schiavitù, compresa quella del denaro, sollecitando ad amarLo sopra ogni cosa, come Bene sommo e suo Tutto. La persona non è riducibile all’homo oeconomicus. È primariamente sapiens, perché spiritualis, essere aperto alla Trascendenza. Ha il primato sul lavoro. Questo, a sua volta, ha il primato sul capitale.
Grazie ad una nuova evangelizzazione, che rinnova l’amore per Gesù Cristo e l’adesione a Lui, la condotta umana viene guidata da una coscienza, ove Dio è fonte di nuovi stili di vita, di una nuova visione dello sviluppo integrale e sostenibile, di un nuovo progetto sociale e politico che non esclude nessuno. La condotta umana viene guidata da una coscienza, ove Dio è considerato come bene e fine ultimo; e l’unione del cuore e della mente con Dio è il criterio del vero ordine dei fini.terra lavoro
Riconoscendo e amando Dio come Bene e Vero sommi, si è posti nella condizione di smascherare e di abbattere i falsi dèi moderni, di compiere un’inversione nella gerarchia dei beni-valori che privilegiano il successo, il potere, il profitto a breve termine, la dimensione economica e tecnica. Soltanto grazie al primato riconosciuto a Dio è possibile una nuova condotta morale, una nuova scala di valori, nonché il superamento delle dicotomie eclatanti dell’etica postmoderna che pregiudicano la visione di uno sviluppo umano integrale. Secondo una corretta visione dello sviluppo, l’economia e la finanza, pur essendo fondamentali in ordine ad un compimento umano non velleitario, non ne sono ancora i fattori più importanti e tantomeno gli unici.
In particolare, una nuova evangelizzazione, come per tempo evidenziato dalla Dottrina sociale della Chiesa, con riferimento ad un nuovo umanesimo del lavoro, consentirà di:
a) irrobustire la concezione del lavoro come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società, lo sviluppo dei popoli, la pace. Il lavoro, proprio perché bene fondamentale, costituisce un dovere-diritto imprescindibile, a differenza di quanto si è sentito affermare anche da parte di persone responsabili del bene comune, che negano l’esistenza di tale diritto;
b) porre le basi di una cultura del lavoro personalista, comunitaria ed aperta alla Trascendenza, quale è stata illustrata da Giovanni Paolo II nella Laborem exercens11 e sostanziata dai seguenti nuclei antropologici ed etici: il lavoro è un bene dell’uomo, per l’uomo e per la società; l’uomo ha il primato sul lavoro, perché il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro, per l’economia, per la finanza, per la società. L’uomo del lavoro è per Dio, perché non di solo lavoro vive l’uomo.
Un nuovo umanesimo del lavoro contribuirà a vincere gli attuali disorientamenti ideologici circa la sua valenza antropologica e sociale, nonché a superare le incertezze nell’elaborazione di nuove coraggiose politiche di lavoro per tutti, con particolare attenzione per le donne e per i giovani.

S.E. Mons. Mario Toso
Vescovo di Faenza Modigliana, già Segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

8 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE,
Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.
9 Per uno sguardo complessivo sulle trasformazioni del mondo del lavoro, sulle problematiche collegate e su possibili soluzioni si rinvia a: COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana, Laterza, Roma- Bari 2013. Ma si veda anche: T. TREU, I lavori si trasformano. Anche regole e welfare devono cambiare, in «Arel» (2014), 1, pp. 45-54.
10 Nelle trasformazioni del mondo del lavoro hanno influito senz’altro gli effetti della terza fase della globalizzazione nei processi di produzione e scambio che hanno influenzato il mercato del lavoro. Vecchie tipologie di lavoro hanno visto rarefarsi la domanda e nuovi lavori richiesti non hanno incontrato l’offerta. In questa transizione, i lavoratori impreparati sono stati o vengono dirottati verso gli ammortizzatori sociali ed in rari casi verso processi di riqualificazione professionale. La frammentazione del mercato del lavoro è pure dovuta all’aumento della flessibilità, ed anche alla fluidità che caratterizza il lavoro, tra partecipazione e non, tra occupazione e disoccupazione, e per il moltiplicarsi delle figure miste, nonché per la differenziazione crescente delle attività lavorative.
11 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem exercens (14.09.1981), in AAS 73 (1981) 577-647.